Farà la fine del plasma iperimmune? Lo so, sono sempre tentato dal pensar male, ma la notizia che il TGR Lazio ha divulgato due settimane fa è di quelle che sul momento fanno ben sperare e poco dopo disperare perché… perché conosciamo il mondo e come vanno queste cose.

Di cosa parliamo? Della sperimentazione fatta dall’Università di Tor Vergata in collaborazione con l’università La Sapienza a Roma che propone come cura anti covid-19 la lattoferrina.

Per maggiori informazioni ecco articoli (https://www.newpharmaitaly.it/lo-studio-lattoferrina-utile-contro-il-covid/ e https://web.uniroma2.it/module/name/Content/newlang/italiano/navpath/HOM/action/showpage/content_id/85703) e studio (https://www.mdpi.com/1422-0067/21/14/4903 con il PDF scaricabile qui: https://www.mdpi.com/1422-0067/21/14/4903/pdf) oltre al tweet della TGR Lazio del 13 luglio con le video interviste alle dottoresse che hanno portato avanti questa interessante e forse cruciale ricerca (https://twitter.com/TgrRai/status/1282694561505181696).

I risultati sono indubbiamente impressionanti e qui scatterebbe la gioia per la scoperta di una cura efficace.

Subito dopo però penso alla natura della lattoferrina che sarebbe da assumere come integratore naturale, il che ci porta ai costi irrisori (vi basta fare una banale ricerca per rendervene conto) dell’eventuale cura e al parallelo con il plasma iperimmune del quale al momento sembrano essersi perse le tracce nei meandri della sperimentazione affidata a Pisa dopo che l’accoppiata Mantova-Pavia ne aveva proposto l’uso sulla base delle evidenze riscontrate dalle equipe mediche, una su tutte quella del dottor De Donno.

Aggiungo il ricordo del calvario nostrano riservato alla idrossiclorochina – che per i medici sul campo funziona e sta tenendo lontano da ospedali e terapie intensive i pazienti – che l’AIFA (qui la situazione attuale delle cure accettate da AIFA: https://www.aifa.gov.it/aggiornamento-sui-farmaci-utilizzabili-per-il-trattamento-della-malattia-covid19) ha messo fuorilegge dal 29 maggio al 22 luglio dopo la comica presa di posizione dell’OMS basata sullo studio falso pubblicato dal giornale scientifico The Lancet (poi mestamente ritrattato).

In un contesto nel quale il martellamento mediatico, oltre che sulla seconda ondata di contagi, batte incessantemente sul salvifico (ma inefficace, per i veri luminari che non vi fanno vedere e ascoltare, a causa delle continue mutazioni del virus) vaccino è chiaro che dopo l’eparina, l’idrossiclorochina con azitromicina e zinco, il desametasone (quello che i nostri medici avevano proposto a Speranza, senza ottenere risposta, due mesi prima dei medici inglesi incensati dall’OMS) e il plasma iperimmune anche la lattoferrina rischia di scivolare nel dimenticatoio per non meglio precisati vantaggi derivanti dalla condanna all’oblio delle cure (che ricordo coprono tutte e tre le fasi della malattia fornendo supporto a 360° nella gestione della “pandemia”) in favore di un vaccino oggettivamente inutile e, si spera di no, eventualmente anche dannoso (in tal senso fate ricerche sull’interferenza virale).

Il filo rosso che lega tutte le cure di cui sopra è dato dal costo irrisorio che permetterebbe – e per fortuna permette ai medici che se ne fregano dei protocolli sciagurati di OMS, Ministero, ISS e AIFA – di gestire al meglio una patologia sempre meno sconosciuta e sempre più curabile. Quel costo che diventa insostenibile per l’unico farmaco che, bontà loro solo sulla base di ricerche proposte dalla ditta produttrice (Gilead), sarebbe ufficialmente riconosciuto come efficace dall’OMS, ovvero il Remdesivir (2.340 dollari sul mercato USA).

Come sempre spero di eccedere con il mio pessimismo, ma i precedenti non depongono a favore dell’ennesima cura efficace e alla portata delle nostre tasche.

Nel frattempo io prendo appunti.

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