A quarantuno anni dalla morte di Aldo Moro un consiglio di lettura speciale. Ciò che scrisse l’uomo e il politico dalla prigionia accompagnato dalla ricostruzione storica di Miguel Gotor. Da leggere e soppesare le lettere dirette a personalità politiche ed ecclesiastiche. Da leggere e vivere con gli occhi pieni di lacrime le tenere missive alla moglie e alla famiglia.

Propongo la lettera che più mi ha commosso, quella al nipote Luca. Poi non può mancare un passo dalla penultima lettera a Benigno Zaccagnini dove lo sguardo di Moro si poggia sul più profondo dei dilemmi che agita un sincero statista, capire la società in cui vive.

Al nipote Luca (pag. 133):

Mio carissimo Luca,
non so chi e quando ti leggerà questa lettera del tuo caro nonnetto.
Potrai capire che tu sei stato e resti per lui la cosa più importante della .
Vedrai quanto sono preziosi i tuoi riccioli, i tuoi occhietti arguti e pieni di memoria, la tua inesauribile energia.
Saprai così che tutti ti abbiamo voluto un gran bene ed il nonno, forse, appena un po’ più degli altri.
Per quel poco che è durato sei stato tutta la sua vita.
Ed ora il nonno Aldo, che è costretto ad allontanarsi un poco, ti ridice tutto il suo infinito affetto ed afferma che vuole restarti vicino.
Tu non mi vedrai, forse, ma io ti seguirò nei tuoi saltelli con la palla, nella tua corsa al cuscinone, nel guizzare nell’acqua, nel tirare la corda al motore.
Io sarò là e ti accarezzerò come sempre ti ho accarezzato, dolcemente il visino e le mani.
Ti sarò accanto la notte, per cogliere l’ora giusta della pipì, e farti poi dolcemente riaddormentare.
E la mattina pronta la vestaglietta, magari con le scarpette pronte in mano in attesa della pizza o del pane fresco.
Queste sono state le grandi gioie di nonno e, per quanto è possibile, lo resteranno.
Cresci buono, forte, allegro, serio.
Il nonno ti abbraccia forte forte, ti benedice con tutto il cuore, spera sia in mezzo a gente che ti vuol bene e che faccia anche la sa parte.

Al segretario della D.C. Benigno Zaccagnini (estratto – pag.172):

La verità è che parliamo di rinnovamento e non rinnoviamo niente.
La verità è che ci illudiamo di essere originali e creativi e non lo siamo.
La verità è che pensiamo di far evolvere la situazione con nuove alleanze, ma siamo sempre là con il nostro vecchio modo di essere e di fare, nella illusione che, cambiati gli altri, l’insieme cambi e cambi il Paese, come esso certamente chiede di cambiare.
Ebbene, caro Segretario, non è così.
Perché qualche cosa cambi, dobbiamo cambiar anche noi.
E, a parte il fatto che davvero altri (socialisti ieri, comunisti oggi) siano in grado di realizzare una svolta in accordo con noi – il che possiamo augurarci e sperare – la ancora una così gran parte del Paese, che nulla può cambiare se anch<‘essa> non cambia.
E per cambiare non intendo la moralizzazione, nuovi e più aperti indirizzi politici. Si tratta di capire ciò che agita nel profondo la nostra società, la rende inquieta, indocile, irrazionale.
Una società che non accetti di adattarsi a strategie altrui, ma una propria in un limpido disegno di giustizia, di eguaglianza, di indipendenza, di autentico servizio dell’uomo.
Ecco tutto.

Le ipocrite e patetiche celebrazioni della nomenclatura politica che oggi scorreranno davanti ai nostri occhi su tutti i TG le lascio a coloro che rappresentano quel mondo che voltò le spalle a Moro per soddisfare quella tremenda equazione definita “Ragion di Stato”, indegna dell’essere umano.

A loro il compito di perpetrare la menzogna e il teatro dell’assurdo di celebrazioni che avrebbero voluto amplificare con la ridicola proposta del Vaticano di beatificare Moro. Un abbraccio sentito va alla figlia che ha respinto al mittente l’ennesima ipocrisia affinché, così come aveva chiesto suo padre, non si faccia mai sfregio alla sua memoria con medaglie postume.

Il libro lo trovi qui:

https://www.ibs.it/lettere-dalla-prigionia-libro-aldo-moro/e/9788806238704

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