Il report di ISTAT del 3 gennaio “La spesa dei comuni per i servizi sociali” di cui, come al solito, consiglio la lettura integrale ha un paio di elementi che penso possano essere utili spunti per qualche riflessione.

Io li riporto, poi ognuno faccia il consueto esercizio ginnico mettendo in moto il proprio cervello.

Prima una sintesi di quel che si trova nel report. Il PDF è disponibile sul sito ISTAT: https://www.istat.it/it/files//2019/01/Report-spesa-sociale-2016.pdf.

ISTAT propone i dati del 2016 (provvisori) e li integra in un quadro che va dal 2003 al 2016, quindi un periodo indicativo, utile per stabilire dei trend.

Nel documento abbiamo la spesa complessiva per i servizi sociali, le categorie di spesa che nel dettaglio sono “Famiglia e minori”, “Disabili”, “Anziani”, “Immigrati e nomadi”, la spesa pro-capite per singola categoria e l’origine delle risorse utilizzate.

Il primo spunto di riflessione è dato dalla spesa per gli anziani.

Ad un generale incremento della spesa complessiva fa da contraltare la diminuzione di quella per gli anziani passata dai 122 euro pro-capite del 2010 ai 92 del 2016.

Sottolinea ISTAT come dal 2011 la spesa diminuisca continuamente mentre la popolazione anziana è in continuo aumento.

Il dato mi incuriosisce perché uno dei martellamenti mediatici cui siamo quotidianamente sottoposti riguarda proprio l’invecchiamento della popolazione e il conseguente aumento dei costi sanitari/sociali che qui evidentemente non si riscontra.

L’altro dato che salta all’occhio è quella della spesa per gli immigrati e i nomadi.

Prima di tutto prendiamo dal glossario a pagina 10 cosa dice ISTAT in modo da non creare fraintendimenti:

Area immigrati e nomadi: in quest’area rientrano gli interventi e i servizi finalizzati all’integrazione sociale, culturale ed economica degli stranieri immigrati in Italia. Per stranieri si intendono le persone che non hanno la cittadinanza italiana, comprese quelle in situazioni di particolare fragilità, quali profughi, rifugiati, richiedenti asilo, vittime di tratta.

Dal 2003 al 2016 la quota parte sulla spesa complessiva è più che raddoppiata (dal 2,3% del 2003 al 4,8% del 2016).

Ma il doppio di uno sputo resta pur sempre uno sputo, e se andiamo a vedere la tabella che ripropongo in testa a questo post (nel report a pagina 3) vediamo come questa sia l’ultima voce per distacco tra tutte.

Con questo intendo dire che la propaganda di qualche fenomeno oggi di stanza al Viminale sul “Prima gli italiani” non regge il confronto con le nude cifre.

Ognuno può girarle come vuole, ma le vere questioni stanno da altre parti e purtroppo certi personaggi da quattro soldi hanno gioco facile nel mettere contro le anime di quella popolazione che invece dovrebbe essere, italiana o straniera che sia, più unita che mai nel rivendicare i propri diritti.

E se siete di quelli che… “Tanto finché non tocca a me” allora mettiamola così. Se diamo corda a questo tipo di ragionamento quando le risorse per il sociale dovranno essere ulteriormente decurtate in nome del mefitico equilibrio di bilancio si sosterrà, per fare un esempio, che si spende troppo per i disabili o per gli anziani e così via.

E sempre pensando all’equilibrio di bilancio da rimarcare come la gran parte delle risorse impiegate arrivi dagli stessi comuni (62% circa, oltre il 70% al Nord). Quelli che saranno chiamati a stringere la cinghia sempre di più.

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